PROCESSO TRIBUTARIO E DIFESA EFFICACE

articoli, sentenze, approfondimenti sul processo tributario



Avv. Salvatore Ponzo 

Avvocato con esperienza nel diritto tributario e nel contenzioso dinanzi alle Corti di Giustizia Tributaria

contenzioso e ricorsi in tutt'Italia.

L'Avv. Salvatore Ponzo, avvocato tributarista, esercita la professione forense con consolidata esperienza nell'ambito del contenzioso diritto tributario, maturata attraverso l'assistenza a contribuenti, società e professionisti in tutte le fasi del rapporto con l'Amministrazione finanziaria. La sua attività si concentra in particolare sulla gestione dei procedimenti di accertamento, sulla difesa nei giudizi di riscossione coattiva e sull'impugnazione di atti impositivi dinanzi alle Corti di Giustizia Tributaria, sia provinciali che regionali, nonchè nei Tribunali di Italia.

Ha sviluppato nel tempo una conoscenza approfondita delle dinamiche del processo tributario, con particolare attenzione alla corretta impostazione procedurale degli atti difensivi, al rispetto dei termini e alla scelta delle strategie istruttorie più adeguate. L'approccio è orientato all'individuazione delle soluzioni più efficaci nel caso concreto, valorizzando gli strumenti offerti dall'ordinamento, come l'eccezione di prescrizione, l'inammissibilità degli atti, l'uso della testimonianza scritta e delle tecniche difensive previste dal D.Lgs. 546/1992.

L'Avv. Ponzo segue personalmente ogni fase del contenzioso, con attenzione al dettaglio e all'effettiva tutela dei diritti del contribuente e degli imprenditori operando su tutto il territorio nazionale anche tramite il processo tributario telematico.

E' disponibile per consulenze specifiche, pareri e difesa tributaria.

ARTICOLI E SENTENZE SULLA DIFESA TRIBUTARIA EFFICACE

Difesa tributaria efficace: un caso concreto di riduzione significativo del debito derivante da intimazione esattoriale - case study 2025

Avv. Salvatore Ponzo – Avvocato tributarista

Nel contesto del processo tributario, l'attività del difensore tributario si fonda sempre più sull'applicazione rigorosa delle norme e sull'utilizzo di tecniche difensive mirate. 

L'evoluzione normativa degli ultimi anni – in particolare con le riforme introdotte dalla Legge 130/2022 e dal D.Lgs. 220/2023 – ha rafforzato la centralità del difensore nel bilanciare i poteri dell'Amministrazione finanziaria e nel garantire un contraddittorio effettivo.

Un esempio utile per comprendere l'efficacia di una strategia difensiva tributaria ben strutturata è rappresentato dalla recentissima sentenza n. 44/2025 della Corte di Giustizia Tributaria di Lecce, depositata il 27 marzo 2025 in cui il sottoscritto avvocato Salvatore Ponzo ha assistito un contribuente per un ricorso contro un'intimazione di pagamento esattoriale notificata nel novembre 2024.

L'Agenzia delle Entrate riscossione ha sostenuto che il contribuente avesse ricevuto nel tempo numerose intimazioni di pagamento e cartelle di pagamento, mai impugnate, ma l'ultima notificata ha fornito l'occasione per rivedere le posizioni ancora attive e contestare le pretese su base selettiva.

L'approccio difensivo ha previsto un'analisi dettagliata delle singole partite contenute nell'intimazione di pagamento e la formulazione di eccezioni puntuali, tra cui:

  • la distinzione tra sorte del tributo principale e accessori;

  • l'analisi della prescrizione e la sua applicabilità al caso concreto;

  • la verifica dell'assenza di notifiche valide nei cinque anni precedenti alla nuova intimazione.

La Corte ha ritenuto fondate talune eccezioni  difensive sollevate nel corso del giudizio, riconoscendo la parziale prescrizione delle componenti accessorie relative ad alcuni degli atti contenuti nell'intimazione. In particolare, a mero titolo esemplificativo:

  • una avviso di accertamento avente importo originariamente superiore ad € 22.000,00 è stato ridotto a circa € 7.000,00 a seguito del ricorso e della sentenza;

  • un avviso di accertamento esecutivo da oltre € 15.000,00 è stato ridotto a circa € 5.000,00, a seguito del ricorso e della sentenza;

La decisione è stata adottata valorizzando l'assenza di atti interruttivi della prescrizione e la corretta impostazione difensiva sulle singole poste.

Questo caso conferma in modo concreto quanto sia determinante, per un difensore tributario, padroneggiare tecniche difensive efficaci e specifiche applicabili al processo tributario, ed impiantare correttamente e tempestivamente una difesa adeguata.

La conoscenza specifica delle regole procedurali, dei termini di prescrizione e delle eccezioni opponibili, nonchè della più significativa giurisprudenza intervenuta sul punto, consente di cogliere margini di contestazione che spesso vengono trascurati in approcci più generici o standardizzati. 

In ambito tributario, a ben vedere, una difesa generica o meramente oppositiva rischia di risultare inefficace, lasciando il contribuente esposto alla piena esigibilità di somme anche non più dovute.

L'esperienza dimostra che l'adozione di tecniche mirate, come l'analisi della prescrizione autonoma degli accessori, la valutazione della validità delle notifiche pregresse, la distinzione tra atti autonomamente impugnabili e atti meramente esecutivi, rappresentano strumenti imprescindibili per ottenere risultati tangibili. Laddove la difesa si limiti a contestazioni vaghe, la Corte è spesso portata a confermare l'intera pretesa; al contrario, una difesa puntuale e documentata, fondata su presupposti normativi solidi e argomentazioni mirate, può determinare l'accoglimento anche parziale del ricorso, riducendo notevolmente l'esborso richiesto.

Si tratta di un caso studio concreto di applicazione di tecniche di difesa tributaria fondate su elementi normativi, su una valutazione individuale degli atti contestati e sull'uso corretto delle eccezioni processuali. 

In sintesi, la tecnica difensiva adottata nel caso di specie si è basata sulla verifica della validità dell'intimazione ricevuta, sulla ricostruzione cronologica degli atti precedenti e su specifiche e circostanziate eccezioni processuali.

gli atti sottesi all'intimazione di pagamento sono stati tutti (oltre 20) dettagliatamente analizzati  al fine di individuare profili di illegittimità del procedimento di ricossione e di recupero del credito.

L'intervento si è focalizzato esclusivamente sull'ultimo atto notificato, pur in presenza di cartelle mai impugnate, ottenendo così una riduzione significativa dell'importo richiesto.

La Corte ha esaminato con attenzione le deduzioni difensive, accogliendone in parte la fondatezza e riconoscendo, nel caso concreto, la legittimità di alcune delle eccezioni sollevate. Tale decisione evidenzia un approccio attento e sensibile da parte del Giudice Tributario al merito delle questioni prospettate dalla parte ricorrente, nel rispetto del principio di effettività della tutela giurisdizionale.

Avv. Salvatore Ponzo
Studio Legale Ponzo

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La testimonianza scritta nel processo tributario: un nuovo strumento per la difesa tecnica del contribuente

Lecce, 29 marzo 2025 - Avv. Salvatore Ponzo – Avvocato tributarista

Nel contesto attuale del processo tributario, la centralità delle tecniche di difesa tributaria rappresenta una leva fondamentale per il "successo processuale" del contribuente. 

Per lungo tempo, il rito tributario ha escluso la prova testimoniale, mantenendo un'impronta fortemente documentale. L'impossibilità di acquisire elementi testimoniali ha spesso limitato l'efficacia della difesa tributaria, soprattutto in presenza di contestazioni basate su presunzioni o elementi indiziari. 

Tuttavia, con l'entrata in vigore della Legge 31 agosto 2022, n. 130, il legislatore ha introdotto una svolta significativa: l'ammissione della testimonianza scritta come mezzo di prova nel giudizio tributario.

Questa novità normativa rappresenta un'opportunità concreta per il difensore tributario che voglia rafforzare la strategia processuale e ottenere un'efficace tutela del proprio assistito.

1. Il nuovo quadro normativo: art. 7, comma 4, D.Lgs. 546/1992

La disposizione oggi vigente, a seguito della riforma del 2022, prevede espressamente che:

"La Corte di giustizia tributaria, ove lo ritenga necessario ai fini della decisione e anche senza l'accordo delle parti, può ammettere la prova testimoniale, assunta con le forme di cui all'articolo 257-bis del codice di procedura civile."

L'apertura alla testimonianza scritta è però fortemente condizionata da due elementi fondamentali:

  • la necessità della prova ai fini decisionali, che deve essere valutata dal Collegio giudicante;

  • l'assunzione esclusivamente per iscritto, secondo le modalità previste dal codice di procedura civile.

Per il difensore tributario, si tratta di una novità da conoscere approfonditamente e saper utilizzare con rigore tecnico, poichè potrebbe rivelarsi fondametale ai fini della soluzione positiva delle controversie.

2. Requisiti dell'istanza: strategia e precisione nella tecnica difensiva

Affinché la testimonianza scritta possa essere ammessa, il difensore deve:

  • articolare i capitoli di prova in modo chiaro e circostanziato;

  • indicare le generalità complete dei testimoni;

  • motivare adeguatamente la richiesta, spiegando perché tale prova sia decisiva per il giudizio.

La semplice allegazione di dichiarazioni testimoniali non costituisce una prova ammissibile. Solo una richiesta formalmente corretta e sostanzialmente rilevante può trovare accoglimento.

L'utilizzo della testimonianza scritta nel processo tributario impone al professionista una particolare attenzione alla tecnica di redazione dell'istanza, affinché essa non sia rigettata per genericità o superfluità.

Invero, nell'applicazione pratica delle Corti, si assiste molto frequentemente ad un fenomeno di rigetto dell'istanza testimoniale, ritenuta superflua per il caso di specie oppure formulata in modo immotivato. Vediamo alcuni esempi

3. La giurisprudenza che ha escluso la testimonianza: CGT Udine, sent. n. 277/2024

Nella sentenza n. 277/2024 della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Udine, il giudice ha rigettato la richiesta di prova testimoniale scritta, ritenendo che:

"gli atti istruttori risultano idonei a dimostrare i fatti decisivi […] e che, comunque, l'assunzione delle prove testimoniali non condurrebbe all'emersione di fatti nuovi, indispensabili o di particolare rilievo."

La Corte ha ritenuto che la prova testimoniale non fosse necessaria ai fini della decisione, confermando il carattere eccezionale e subordinato dell'istituto.

4. La prova testimoniale valutata positivamente: CGT Campania, sent. n. 7013/2024 e CGT Ravenna, sent. n. 379/2024

Diversa impostazione ha assunto la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Campania, nella sentenza n. 7013/2024.

In questo caso, la Corte ha avuto modo di pronunciarsi positivamente sull'ammissione della prova testimoniale scritta: la società appellata, rappresentata dal proprio difensore tributario, aveva chiesto di acquisire la deposizione dell'ing. Nominativo_1, nominato CTU dal Tribunale fallimentare, su capitoli di prova riguardanti la non operatività tecnica degli impianti aziendali. Il Collegio ha ritenuto che la richiesta fosse pienamente ammissibile e ben strutturata, sottolineando la pertinenza e precisione dei quesiti, nonché la rilevanza del testimone proposto. La testimonianza è stata formalmente accolta, sebbene poi ritenuta superflua ai fini della decisione in quanto i fatti risultavano già sufficientemente dimostrati documentalmente.

"La richiesta di prova testimoniale scritta è formulata in modo coerente e circostanziato e riguarda fatti di natura tecnica [...] i capitoli di prova risultano chiari e pertinenti."

La sentenza CGT Campania n. 7013/2024 costituisce un importante precedente che dimostra la possibilità concreta di ammettere la testimonianza scritta nel processo tributario, laddove articolata in modo tecnicamente corretto e fondata su esigenze istruttorie reali.

Anche la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Ravenna, con sentenza n. 379/2024, ha seguito un orientamento simile, accogliendo la richiesta di parte ricorrente volta ad assumere la testimonianza scritta ai sensi dell'art. 7, comma 4 del D.Lgs. 546/1992.

Nel caso esaminato dalla CGT di Ravenna, la Corte ha ammesso la testimonianza scritta proposta dal contribuente, ritenendola utile alla ricostruzione dei fatti di causa. Gli elementi testimoniali acquisiti, insieme ai documenti, hanno permesso di escludere la riconducibilità di determinati proventi all'attività imprenditoriale del ricorrente. 

La Corte ha ritenuto provata, anche tramite dichiarazioni testimoniali scritte, la natura privata degli accrediti contestati, valorizzando così un uso corretto e determinante della prova testimoniale nel quadro della difesa tributaria.

questo è un dato importante poichè dimostra la sensibilità di talune Corti di giustizia italiane nel valutare attentamente le richieste difensive ritenute utili alla decisione della causa.

"Gli elementi di prova acquisiti al giudizio (documenti e testimonianze scritte versate in atti) consentono di escludere che l'importo degli accrediti [...] fosse riconducibile all'attività imprenditoriale del ricorrente."

Questi due precedenti dimostrano come la testimonianza scritta, laddove debitamente motivata e corredata di pertinenti capitoli di prova, possa assumere un ruolo decisivo nell'economia processuale, a supporto delle migliori tecniche di difesa tributaria.Anche se la Corte ha ritenuto sufficiente la documentazione per decidere in favore della contribuente, ha sottolineato la correttezza formale e sostanziale dell'istanza istruttoria, lasciando intendere che, in altro contesto, tale testimonianza avrebbe potuto risultare decisiva.

"La richiesta di prova testimoniale scritta è formulata in modo coerente e circostanziato e riguarda fatti di natura tecnica [...] i capitoli di prova risultano chiari e pertinenti."

Questo caso valorizza l'utilizzo strategico e ponderato della testimonianza scritta nell'ambito della difesa tributaria.

5. Limiti alla capacità testimoniale nel processo tributario

L'ammissione della testimonianza scritta nel processo tributario, pur rappresentando un'apertura importante in termini di difesa, incontra precise limitazioni soggettive e oggettive che derivano dall'applicazione delle disposizioni civilistiche, in forza del rinvio operato dall'art. 7, comma 4 del D.Lgs. 546/1992.

Inidoneità soggettiva a testimoniare (art. 246 c.p.c.)

Non possono rendere testimonianza, nemmeno in forma scritta, i soggetti che hanno un interesse nella causa tale da legittimarli ad agire o resistere nel giudizio, in base all'art. 100 c.p.c. Si pensi, ad esempio, al coobbligato solidale, come accade frequentemente nelle controversie aventi ad oggetto l'imposta di registro. La testimonianza di tali soggetti sarebbe inammissibile per difetto di imparzialità.

Esclusione dell'art. 247 c.p.c. e rapporti familiari

Non trova invece applicazione nel processo tributario il divieto previsto dall'art. 247 c.p.c., relativo alla testimonianza del coniuge, anche separato, o dei parenti e affini in linea retta. Tale norma, infatti, è ormai priva di portata vincolante, anche in ambito civile, a seguito della sua dichiarazione di incostituzionalità (Corte Cost. n. 248/1974). Ne deriva che tali soggetti possono essere testimoni nel processo tributario, purché non siano direttamente coinvolti o interessati nella medesima controversia.

Astensione dalla testimonianza

Il testimone può invocare l'astensione obbligatoria nei casi previsti dagli artt. 200 e segg. c.p.p., ossia:

  • segreto professionale;

  • segreto d'ufficio;

  • segreto di Stato.

In tali ipotesi, il testimone deve comunque compilare e restituire il modulo di testimonianza, specificando le ragioni dell'astensione.

Non è invece ammessa nel processo tributario l'astensione prevista per i "prossimi congiunti" ex art. 199 c.p.p., la quale non trova corrispondenza normativa nel rito tributario.

Limite legato agli atti pubblici fidefacienti

Infine, una precisa preclusione è fissata dallo stesso art. 7, comma 4, secondo cui la testimonianza è inammissibile su fatti attestati in atti che fanno piena fede fino a querela di falso (es. PVC, verbali GdF, verbali di constatazione). La testimonianza può avere ad oggetto solo circostanze diverse da quelle formalmente attestate dal pubblico ufficiale.

Tali limiti impongono al difensore tributario un'attenta valutazione della legittimità soggettiva del testimone, oltre che della rilevanza dei fatti da provare, pena l'inammissibilità della prova e la possibile compromissione dell'efficacia difensiva.

6. Conclusioni: tecnica processuale e padronanza strategica nel processo tributario

Nel moderno processo tributario, la conoscenza approfondita degli strumenti normativi e la padronanza delle tecniche di difesa tributaria rappresentano un valore distintivo del professionista.

Per il difensore tributario esperto, ciò significa acquisire una nuova competenza: saper padroneggiare con rigore le tecniche processuali del diritto tributario. L'efficacia della difesa tributaria non dipende soltanto dalla fondatezza delle ragioni del contribuente, ma anche – e soprattutto – dalla capacità di attivare e strutturare correttamente gli strumenti processuali disponibili.

Ogni fase del giudizio richiede attenzione tecnica e consapevolezza strategica: dalla redazione del ricorso all'articolazione dei mezzi di prova, fino all'eventuale deposito della testimonianza scritta.

In un contesto processuale che si fa sempre più tecnico e digitalizzato, la differenza tra una difesa generica e una difesa tributaria efficace sta nella qualità delle scelte processuali e nella capacità del difensore di valorizzare ogni margine favorevole al contribuente.

Avv. Salvatore Ponzo

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La presunzione di distribuzione degli utili extracontabili nelle società a ristretta base partecipativa: breve quadro sistematico e riflessioni critiche alla luce della più recente giurisprudenza di legittimità (e di merito)

Avv. Salvatore Ponzo

05/04/2025



Indice

  1. Premessa metodologica

  2. Natura e ratio della presunzione

  3. Inquadramento normativo e raccordo con i principi generali del diritto tributario

  4. Evoluzione giurisprudenziale: ricostruzione degli orientamenti

  5. L'onere della prova e la prova contraria del socio

  6. Profili critici e compatibilità costituzionale

  7. Riflessioni conclusive e prospettive sistematiche

          1. Premessa metodologica

La tematica della presunzione di distribuzione pro quota degli utili extracontabili ai soci di società a ristretta base partecipativa costituisce una delle questioni maggiormente controverse nell'ambito del diritto tributario sostanziale, per la tensione tra l'esigenza di effettività dell'azione accertativa e il rispetto del principio personalistico della responsabilità tributaria ex art. 53 Cost. e art. 2697 c.c.

2. Natura e ratio della presunzione

La presunzione in oggetto ha natura semplice (praesumptio iuris tantum) e discende da una massima d'esperienza, elaborata in via pretoria, secondo la quale, nelle società a compagine ristretta e a carattere familiare o fiduciario, l'eventuale occultamento di ricavi o utili da parte della società implichi una probabile distribuzione informale ai soci, in assenza di delibera assembleare ex art. 2433 c.c. (o artt. 2478-bis ss. c.c. per le S.r.l.).

Tale costruzione si fonda su una presunzione di "compartecipazione soggettiva" al vantaggio illecito, ancorata alla relazione intersoggettiva fiduciaria tra i soci e all'interesse economico diretto e indiretto alla fruizione dell'utile non contabilizzato.

3. Inquadramento normativo e raccordo con i principi generali del diritto tributario

La presunzione in parola non trova un fondamento espresso in una disposizione normativa codificata, ma si radica nell'art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. 600/1973, che legittima l'accertamento induttivo del reddito d'impresa sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti. 

Il passaggio dall'accertamento in capo alla società a quello in capo ai soci è giustificato dal combinato disposto degli artt. 6 e 44 del TUIR (D.P.R. 917/1986), che qualificano come reddito di capitale quello derivante dalla partecipazione agli utili delle società di capitali.

Ne deriva un meccanismo presuntivo a doppio livello: il primo riguarda l'esistenza di ricavi non contabilizzati a carico della società; il secondo, la presunzione della loro distribuzione ai soci.

4. Evoluzione giurisprudenziale: ricostruzione degli orientamenti

Già a partire da Cass. n. 21903/2007 e poi in Cass. nn. 7625/2016 e 2544/2020, la Suprema Corte ha stabilito la legittimità dell'accertamento nei confronti dei soci fondato sulla presunzione di distribuzione degli utili extracontabili, richiedendo però una motivazione rafforzata da parte dell'Amministrazione finanziaria circa la natura ristretta della compagine e la riconducibilità soggettiva della gestione.

Più di recente, Cass. n. 2464/2025 ha affermato che la presunzione di distribuzione può essere vinta mediante la prova dell'estraneità del socio alla gestione, superando la rigidità dell'automatismo presuntivo. Tale arresto segna una svolta interpretativa, orientata a valorizzare il principio di personalità della responsabilità tributaria.

5. L'onere della prova e la prova contraria del socio

La giurisprudenza costante riconosce che la presunzione possa essere superata da una prova contraria specifica e puntuale, da parte del contribuente-socio, ex art. 2697 c.c. Tale prova non può consistere in mere affermazioni di stile o autodichiarazioni di non percezione, ma deve esplicitarsi in elementi oggettivi (es. documentazione contabile, assenza di movimentazioni bancarie, distanza geografica, assenza di deleghe gestionali).

In tal senso, si richiede una prova contraria fondata non solo su dati formali (es. assenza di cariche), ma anche sostanziali (effettiva non partecipazione alla vita gestionale).

6. Profili critici e compatibilità costituzionale

Il meccanismo presuntivo, seppur utile sotto il profilo della lotta all'evasione, pone rilevanti questioni di compatibilità con:

  • l'art. 53 Cost., sotto il profilo della capacità contributiva;

  • l'art. 3 Cost., per la parità di trattamento tra soci attivi e passivi;

  • l'art. 24 Cost., in quanto l'onere della prova potrebbe diventare eccessivamente gravoso per il contribuente, specie in assenza di meccanismi di cooperazione informativa interna alla società.

Parte della dottrina ritiene necessario un intervento normativo che tipizzi i presupposti per l'applicazione della presunzione, onde evitare una generalizzazione foriera di diseguaglianze.

7. Riflessioni conclusive e prospettive sistematiche

La presunzione in oggetto, pur avendo trovato una solida base nella giurisprudenza di legittimità, deve essere maneggiata con cautela, alla luce del principio di personalità dell'obbligazione tributaria e della necessità di una prova individuale del fatto generatore dell'obbligo impositivo.

Si auspica, in chiave de jure condendo, l'introduzione di criteri normativi che disciplinino espressamente:

  • le soglie di partecipazione oltre le quali scatta la presunzione;

  • i criteri per la prova contraria;

  • l'obbligo dell'Amministrazione di motivare specificamente la sussistenza del vincolo fiduciario.

Tale approccio garantirebbe un equilibrio più compiuto tra finalità antielusive e tutela del contribuente, rafforzando la coerenza sistematica dell'ordinamento tributario italiano con i principi costituzionali e sovranazionali di proporzionalità, legalità e certezza del diritto.

Avvocato Salvatore Ponzo - tributarista


Aggiornamento sentenze di merito luglio 2025

Nel corso del 2025, la giurisprudenza di merito, in tema di ristratta base societaria, ha affrontato tale questione in più occasioni, con decisioni che hanno messo in luce i limiti sostanziali e procedimentali all'operatività della presunzione, riaffermando il principio di effettività della capacità contributiva e il necessario rispetto del contraddittorio, sia in fase istruttoria che decisoria.

Di seguito proporrò un breve escursus delle sentenze di merito delle Corti Tributarie di Italia, depotitate nel mese di maggio dell'anno 2025, favorevoli al contribuente

1. L'insufficienza della presunzione in assenza di accertamento valido in capo alla società

Con la sentenza n. 1120/2025, la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Siracusa ha annullato l'accertamento notificato al socio, rilevando l'illegittimità del presupposto impositivo a monte, ovvero l'avviso di accertamento originariamente emesso nei confronti della società. Quest'ultimo, infatti, era stato già oggetto di annullamento in separato giudizio. In difetto di un atto impositivo valido e definitivo nei confronti della persona giuridica, la pretesa nei confronti del socio è risultata priva di fondamento giuridico.

📌 Massima ricavabile: L'accertamento nei confronti del socio di società a ristretta base non può essere fondato su un atto presupposto precedentemente annullato, essendo privo di forza giuridica il fondamento stesso della presunzione.

2. Il ruolo gestionale effettivo come criterio selettivo per l'attribuzione di utili

La sentenza n. 1330/2025 della CGT della Lombardia ha ritenuto illegittima l'attribuzione di utili presunti a una socia di maggioranza priva di ogni coinvolgimento nella gestione della società. La Corte ha valorizzato gli elementi oggettivi e soggettivi forniti dalla contribuente, tra cui l'età anagrafica, la mancanza di deleghe operative e l'assenza di prove documentali circa un suo arricchimento.

📌 Massima ricavabile: L'attribuzione di utili extracontabili ai soci di società a ristretta base sociale deve fondarsi su elementi idonei a dimostrare un effettivo coinvolgimento nella gestione o un concreto vantaggio patrimoniale.

3. Responsabilità patrimoniale del socio in caso di estinzione della società

Le sentenze nn. 1473 e 1474/2025 della CGT della Calabria hanno confermato che, a seguito della cancellazione della società dal Registro delle Imprese, i soci non possono essere chiamati a rispondere dei debiti tributari della stessa oltre i limiti di quanto effettivamente percepito in sede di liquidazione. Le Corti hanno escluso la possibilità per l'Amministrazione finanziaria di procedere nei confronti dei soci sulla base di mere presunzioni di utili "in nero", in assenza di una specifica prova dell'arricchimento individuale.

📌 Massima: La responsabilità del socio di società estinta non può prescindere dalla prova del beneficio economico personale derivante dalla liquidazione della società.

4. Vizio derivato dell'atto impositivo a carico del socio

La sentenza n. 464/2025 della CGT delle Marche ha dichiarato l'illegittimità dell'avviso di accertamento emesso nei confronti del socio, rilevando che lo stesso era fondato su un accertamento societario già annullato per vizi metodologici. In particolare, l'adozione di criteri induttivi non correttamente motivati in sede societaria rendeva inidoneo il fondamento della pretesa nei confronti del socio.

📌 Massima ricavabile: L'atto impositivo emesso nei confronti del socio è affetto da vizio derivato laddove si fondi su un accertamento nei confronti della società già annullato per illegittimità sostanziale.

5. L'onere motivazionale rafforzato nei confronti del socio

Con la sentenza n. 2903/2025, la CGT di Salerno ha sottolineato l'esigenza che l'atto impositivo nei confronti del socio sia specificamente motivato, in modo da dimostrare non solo l'esistenza di utili extracontabili in capo alla società, ma anche l'effettiva attribuzione, diretta o indiretta, al socio destinatario della pretesa. Il semplice richiamo alla partecipazione societaria, anche se qualificata, non può di per sé fondare la pretesa tributaria in assenza di ulteriori elementi istruttori.

📌 Massima ricavabile: La presunzione di distribuzione di utili extracontabili richiede, nei confronti del socio, una motivazione specifica e concreta che dimostri la connessione tra l'evasione accertata e il beneficio patrimoniale individuale.

Conclusioni

Le pronunce delle Corti di Giustizia Tributaria intervenute nel 2025 forniscono una chiara ricostruzione dei presupposti, sostanziali e formali, che devono necessariamente sussistere affinché l'Amministrazione finanziaria possa legittimamente fondare un avviso di accertamento nei confronti dei soci di società a ristretta base.

In particolare:

  • è necessario un accertamento valido e definitivo in capo alla società;

  • occorre dimostrare l'effettivo coinvolgimento del socio nella gestione o il beneficio tratto;

  • la responsabilità patrimoniale post-estinzione è limitata a quanto ricevuto in sede di liquidazione;

  • è richiesto un onere motivazionale rafforzato nei confronti del socio.

La valorizzazione di tali orientamenti consente di impostare difese solide, sia in fase amministrativa che contenziosa, nel rispetto dei principi di legalità, capacità contributiva ed effettività della tutela giurisdizionale.

Avvocato Salvatore Ponzo - tributarista



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TARI: Quando è Possibile Ottenerne l'Annullamento? Casi e Principi Giurisprudenziali

12 aprile 2025

Avvocato Salvatore Ponzo

L'impugnazione degli avvisi di pagamento TARI è una delle controversie più ricorrenti nel contenzioso tributario locale. Molti contribuenti, soprattutto titolari di attività commerciali o stabilimenti balneari, ricevono richieste di pagamento TARI sproporzionate rispetto all'effettiva utilizzazione degli spazi o alla quantità di rifiuti effettivamente prodotti. Ma quando è legittimo ottenere l'annullamento della TARI? Analizziamo alcuni casi giurisprudenziali recenti e i principi fondamentali applicati dalle Corti di Giustizia Tributaria.

1. Calcolo TARI e riduzione della superficie imponibile

Uno dei profili più controversi attiene alla superficie tassabile. Secondo la sentenza n. 5205/2024 della CGT Lazio, il Comune non può richiedere la TARI su aree non effettivamente occupate o su superfici affidate in uso a terzi. In quel caso, la Corte ha accolto le doglianze del contribuente titolare di uno stabilimento balneare, riconoscendo la necessità di rimodulare l'importo TARI sulla base:

  • della riduzione della superficie concessa (accertata con sentenza del TAR Lazio);

  • della parziale occupazione da parte di terzi soggetti economici (con affidamenti comunali).

Principio: la TARI non può essere applicata in modo forfettario, ma deve tener conto della reale occupazione dell'area e della distribuzione dell'utilizzo tra più soggetti.

2. Invalidità dell'avviso di pagamento TARI per carenza di motivazione

La sentenza n. 4857/2024 della CGT Campania ha ribadito che l'avviso di pagamento TARI non può sostituirsi ad un avviso di accertamento motivato quando vi è una difformità rispetto ai dati dichiarati dal contribuente.

In quel caso, l'avviso era stato emesso senza tener conto delle denunce presentate circa la minore superficie occupata, né era stata motivata la discrepanza tra la dichiarazione e l'importo richiesto. Inoltre, il servizio di raccolta rifiuti era stato sospeso, circostanza ignorata dal Comune.

Principio: quando il Comune si discosta dalle denunce del contribuente, è obbligato a notificare un avviso di accertamento motivato, ai sensi dell'art. 70 del D.Lgs. 507/1993 e dell'art. 1, comma 685 della L. 147/2013.

3. Riduzione della TARI per rifiuti speciali assimilati e raccolta autonoma

Diversi enti locali prevedono riduzioni della quota variabile TARI per i soggetti che provvedano autonomamente alla gestione dei rifiuti assimilati. Tuttavia, spesso tali riduzioni sono limitate regolamentariamente.

Le sentenze n. 462 e 461/2024 della CGT Abruzzo hanno dichiarato illegittima la previsione regolamentare che impone un tetto massimo del 50% alla riduzione TARI, in violazione dei principi:

  • dell'art. 238 del D.Lgs. 152/2006;

  • dell'art. 1, comma 649, della L. 147/2013;

  • del principio europeo "chi inquina paga" (art. 14 direttiva 2008/98/CE).

Principio: il Comune deve garantire riduzioni proporzionali ai rifiuti effettivamente avviati al riciclo dal produttore, senza limiti rigidi e immotivati. Diversamente, si configura un eccesso di potere regolamentare.

4. Esclusione dalla TARI per immobili sottoposti a confisca antimafia

Nel caso di beni sottoposti a confisca definitiva, la TARI non è dovuta, poiché manca il presupposto impositivo.

Lo ha sancito la sentenza n. 1992/2024 della CGT Sicilia, applicando l'art. 51, comma 3-bis del D.Lgs. 159/2011: "Durante la vigenza dei provvedimenti di sequestro e confisca è sospeso il versamento di imposte e tributi relativi agli immobili sequestrati".

Principio: la confisca antimafia comporta la sospensione del versamento della TARI, con conseguente nullità dell'avviso di accertamento eventualmente notificato.

Conclusioni – La TARI tra potestà regolamentare e garanzie costituzionali del contribuente

L'analisi della più recente giurisprudenza di merito dimostra con evidenza come l'imposizione TARI – benché qualificabile come tributo locale disciplinato da normativa secondaria e regolamentare – non possa in alcun modo sottrarsi ai principi generali del diritto tributario, ai precetti costituzionali e agli obblighi sovranazionali che regolano l'attività impositiva della Pubblica Amministrazione.

Occorre, in particolare, richiamare i seguenti assi portanti dell'ordinamento:

1. Il principio di capacità contributiva (art. 53 Cost.)

Ogni tributo, ivi compresa la TARI, deve fondarsi su un presupposto che dimostri una effettiva attitudine economica. La pretesa impositiva deve, quindi, essere proporzionale e ragionevole rispetto alla quantità e alla qualità del servizio effettivamente fruito. L'applicazione della TARI su superfici non occupate, inutilizzate, o assegnate in uso a terzi, viola in radice tale principio, determinando un'imposizione sproporzionata e ingiustificata.

2. L'obbligo di motivazione degli atti tributari (art. 3 L. 241/1990 e art. 7 dello Statuto del contribuente)

L'ente impositore, allorché ritenga di discostarsi dalle dichiarazioni del contribuente, è tenuto a motivare puntualmente l'atto di accertamento, evidenziando le ragioni della maggiore pretesa, anche in termini di superficie tassata o natura dell'attività. L'utilizzo dell'avviso di pagamento in luogo dell'avviso di accertamento costituisce un vizio invalidante dell'atto, in quanto priva il contribuente delle necessarie garanzie partecipative e conoscitive.

3. Il rispetto del principio del contraddittorio preventivo (art. 12, comma 7, Statuto del contribuente; giurisprudenza CGUE)

Sebbene non codificato in modo uniforme per tutti gli atti locali, il principio del contraddittorio assume rilievo anche nel procedimento di determinazione della TARI, specie nei casi di variazione unilaterale degli elementi dichiarati. L'omessa interlocuzione con il contribuente, in assenza di ragioni di urgenza o indifferibilità, può costituire motivo di annullabilità dell'atto per violazione del giusto procedimento.

4. Il principio di legalità e riserva di legge (art. 23 Cost.)

Benché la TARI trovi fondamento normativo nella legge n. 147/2013, la determinazione delle riduzioni, delle esenzioni e dei criteri di calcolo non può essere demandata in via esclusiva ai regolamenti comunali, in assenza di limiti sostanziali e procedurali. Quando il regolamento comunale introduce limiti percentuali arbitrari (come il tetto del 50% alla riduzione per rifiuti riciclati), in assenza di un potere espressamente previsto dalla legge statale, esso sconfina in un esercizio ultra vires della potestà regolamentare, potenzialmente affetto da illegittimità derivata.

5. Il principio "chi inquina paga" (art. 14 Dir. 2008/98/CE e art. 174 TFUE)

Il legislatore nazionale ha recepito tale principio attraverso l'art. 1, comma 649, della L. 147/2013, stabilendo che per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, la TARI deve essere calcolata tenendo conto della quota effettivamente avviata al recupero o al riciclo. Il mancato adeguamento del Regolamento comunale a tale previsione determina un'ipotesi di disapplicazione dell'atto amministrativo illegittimo per contrasto con norma sovraordinata, in linea con l'orientamento consolidato del Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione.

Prospettive operative: tutela del contribuente e legittimità dell'azione amministrativa

In definitiva, la legittimità della pretesa TARI non può prescindere:

  • da una istruttoria amministrativa completa e congruente;

  • dal rispetto del contraddittorio;

  • dalla coerenza tra regolamento comunale e disciplina sovraordinata;

  • dalla non discriminazione tra situazioni soggettivamente e oggettivamente differenti.

Il professionista chiamato a tutelare il contribuente dovrà quindi impostare la propria strategia difensiva sulla ricostruzione sistematica delle fonti normative multilivello, sulla valutazione critica degli atti regolamentari comunali e sull'utilizzo coordinato degli strumenti di autotutela, impugnazione e disapplicazione.

In un'epoca in cui i tributi locali rappresentano una leva finanziaria cruciale per gli enti territoriali, è fondamentale garantire che l'azione accertativa non degeneri in forme di imposizione automatica, presuntiva o sproporzionata, in violazione dei più elevati principi dell'ordinamento tributario democratico.

Venditori a domicilio o Agente di Commercio? La Corte Tributaria della Lombardia annulla l'accertamento e chiarisce le idee all'Agenzia delle Entrate.

Avvocato Salvatore Ponzo - 8 aprile 2025

Con una sentenza esemplare – la n. 2295/2024 depositata il 29 agosto 2024 – la Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Lombardia ha completamente annullato un avviso di accertamento nei confronti di un contribuente operante come venditore a domicilio, ponendo un paletto giurisprudenziale fondamentale per l'intero comparto della vendita diretta.

⚖️ Il caso: riqualificazione indebita dell'attività dei venditori a domicilio

L'Agenzia delle Entrate aveva emesso un avviso di accertamento nei confronti di un contribuente, riqualificando la sua attività – formalmente svolta come venditore a domicilio ai sensi dell'art. 19 del D. Lgs. 114/1998 e della L. 173/2005 – in quella di agente di commercio, con conseguente assoggettamento al regime ordinario d'impresa, applicazione di IRPEF, IRAP, contributi previdenziali e sanzioni.

Una scelta che non ha retto al vaglio giurisdizionale, poiché fondata su presupposti errati e carente di adeguato supporto probatorio.

🔍 Il cuore della decisione: i venditori a domicilio operano in regime autonomo

Il Collegio ha riformato integralmente la sentenza di primo grado, riconoscendo in capo al ricorrente la qualifica di venditore a domicilio, respingendo tutte le argomentazioni dell'Amministrazione finanziaria.

I passaggi chiave della decisione:

  • La struttura multilevel marketing è legittima e prevista dalla L. 173/2005: percepire provvigioni indirette non trasforma l'attività in agenzia, né lede la normativa fiscale di riferimento;

  • Le provvigioni maturate derivano dalla raccolta ordini per vendite al consumatore finale, in piena coerenza con l'attività dei venditori a domicilio;

  • L'assenza di una struttura organizzativa autonoma, di personale e beni strumentali esclude la soggezione a IRAP, come già parzialmente riconosciuto in primo grado;

  • La qualifica di "Senior Manager", valorizzata dall'Ufficio, non ha rilevanza giuridica e non è indice di attività di agenzia;

  • Il regime forfettario ex art. 25-bis, co. 6, DPR 600/1973, applicabile ai venditori a domicilio, non è un'agevolazione straordinaria ma un regime ordinario speciale, giuridicamente riconosciuto e perfettamente autonomo rispetto a quello d'impresa.

La lezione della Corte: tutela per i venditori a domicilio, limite all'azione dell'Agenzia

La Corte ha richiamato la giurisprudenza della Cassazione (ord. nn. 17920/2018, 16565/2020, 530/2024), affermando che i requisiti essenziali del contratto di agenzia – stabilità, esclusiva territoriale, obbligo di promozione – non ricorrono nel caso dei venditori a domicilio.

La documentazione in atti, il modello contrattuale adottato e il tipo di rapporto con la società mandante hanno confermato che si trattava a tutti gli effetti di attività di vendita diretta a domicilio, con pieno rispetto della normativa di settore.

Inoltre, la Corte ha rigettato il sospetto di attività piramidale, sottolineando che la vendita dei prodotti era reale, concreta e prevalente, e l'arruolamento di nuovi incaricati non era fine a sé stesso, bensì parte di una strategia di promozione perfettamente lecita e trasparente.

Conclusioni: una sentenza che rafforza i diritti dei venditori a domicilio

La sentenza n. 2295/2024 rappresenta una pietra miliare per i venditori a domicilio: annulla in toto l'avviso di accertamento, rigetta l'appello incidentale dell'Agenzia e riconosce la piena legittimità del regime fiscale e contrattuale applicabile alla vendita diretta a domicilio.

"La riqualificazione dell'attività in agenzia – scrive il Collegio – non trova riscontro né nella normativa né nei fatti. La struttura operativa del contribuente è perfettamente coerente con quella del venditore a domicilio."

Di assoluto pregio è poi la ricostruzione del quadro normativo effettuato dalla Corte Tributaria e che merita di essere integralmente richiamato ai fini della corretta analisi dell'oggetto del contendere, reltivo agli incaricati alle vendite a domicilio:

"- l'art. 25 bis, comma 6, del D.P.R. 600/73 prevede che per "le prestazioni rese dagli incaricati alle vendite a domicilio di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, la ritenuta è applicata a titolo d'imposta ed è commisurata all'ammontare delle provvigioni percepite ridotto del 22 per cento a titolo di deduzione forfetaria delle spese di produzione del reddito";

- l'articolo 19 del D. Lgs. 114/1998 individua i criteri, anche di onorabilità, per lo svolgimento delle vendite effettuate presso il domicilio dei consumatori;
- l'art. 1, comma 1, lett. a, della L. 173/2005 definisce la vendita diretta a domicilio come "la forma speciale di vendita al dettaglio e di offerta di beni e servizi, di cui all'articolo 19 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, effettuate tramite la raccolta di ordinativi di acquisto presso il domicilio del consumatore finale o nei locali nei quali il consumatore si trova, anche temporaneamente, per motivi personali, di lavoro, di studio, di intrattenimento o di svago";

- l'art. 1, comma 1, lett. b, della L. 173/2005 definisce l'incaricato alla vendita diretta a domicilio come "colui che, con o senza vincolo di subordinazione, promuove, direttamente o indirettamente, la raccolta di ordinativi di acquisto presso privati consumatori per conto di imprese esercenti la vendita diretta a domicilio";
- infine, l'art. 3, della L. 173/2005, rubricato "Attività di incaricato alla vendita diretta a domicilio", così recita: "1. L'attività di incaricato alla vendita diretta a domicilio, con o senza vincolo di subordinazione, è soggetta all'obbligo del possesso del tesserino di riconoscimento di cui all'articolo 19, commi 5 e 6, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 114, e può essere svolta da chi risulti in possesso dei requisiti di cui all'articolo 5, comma 2, del medesimo decreto legislativo. 2. L'attività di incaricato alla vendita diretta a domicilio senza vincolo di subordinazione può essere esercitata come oggetto di una obbligazione assunta con contratto di agenzia. 3. L'attività di incaricato alla vendita diretta a domicilio senza vincolo di subordinazione può essere altresí esercitata, senza necessità di stipulare un contratto di agenzia, da soggetti che svolgono l'attività in maniera abituale, ancorché non esclusiva, o in maniera occasionale, purché incaricati da una o più imprese. 4. La natura dell'attività di cui al comma 3 è di carattere occasionale sino al conseguimento di un reddito annuo, derivante da tale attività, non superiore a 5.000 euro. 5. Resta ferma la disciplina previdenziale recata dall'articolo 44, comma 2, ultimo periodo, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 326".

In definitiva, un precedente giurisprudenziale di grande rilievo per tutti coloro che operano nel settore e che, legittimamente, intendono far valere i propri diritti nel rispetto della legge.

Avv. Salvatore Ponzo


Onere della prova dell'Amministrazione Finanziaria nelle ipotesi di simulazione di contratti finalizzati all' evasione Fiscale 

Sentenza del 17 dicembre 2024, n. 1085 del 2025 (dep. 10/02/2025) - Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Sicilia, sez. II

Principio espresso: nel contenzioso tributario, spetta all'Amministrazione finanziaria l'onere di provare che i contratti stipulati dal contribuente siano simulati o posti in essere con finalità elusive o evasive.

Introduzione

Nel contenzioso tributario, una questione di rilievo riguarda l'onere della prova in capo all'Amministrazione finanziaria quando contesta la simulazione di contratti stipulati dal contribuente con finalità elusive o evasive. La recente sentenza n. 1085/2025 della Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado della Sicilia, Sez. II, chiarisce l'estensione di tale onere probatorio, con importanti implicazioni per professionisti e imprese.

Il caso concreto

La controversia trae origine dalla ripresa a tassazione di plusvalenze derivanti dalla cessione di un'azienda. L'operazione era stata preceduta da plurimi contratti di vendita e di affitto aventi ad oggetto l'immobile in cui si svolgeva l'attività imprenditoriale. Secondo l'Agenzia delle Entrate, tali contratti avevano finalità meramente simulatorie, volte a trasferire fittiziamente il bene nella sfera personale del contribuente, pur essendo esso bene strumentale indispensabile per l'impresa e determinante ai fini della tassazione delle plusvalenze.

Principio di diritto

La Corte ha ribadito che, in presenza di contestazioni relative a simulazione assoluta o relativa di un contratto, l'Amministrazione finanziaria – in qualità di terzo rispetto all'atto – ha l'onere di fornire prova piena della simulazione, anche mediante presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti.
Tale prova deve riguardare sia gli elementi oggettivi (coerenza economica e strutturale dell'operazione) sia quelli soggettivi (intento elusivo o evasivo delle parti).

Fondamento normativo

Il principio trova fondamento in:

  • Art. 2697 c.c. (ripartizione dell'onere della prova);

  • Art. 10-bis, L. 212/2000 (abuso del diritto e operazioni prive di sostanza economica);

  • Art. 21-bis, d.lgs. 74/2000 (introdotto dal d.lgs. 87/2024, in materia di reati tributari);

  • Art. 67, comma 1, lett. h) e h-bis del TUIR (plusvalenze da cessione di aziende e beni strumentali).

Rilevanza pratica

La decisione è significativa per almeno tre motivi:

  1. Chiarezza sull'onere probatorio – Non basta la mera contestazione: l'Amministrazione deve dimostrare la natura fittizia dell'operazione, anche con elementi presuntivi.

  2. Estensione alle operazioni societarie e patrimoniali – La disciplina si applica a ogni contratto che, pur formalmente lecito, presenti elementi di elusione o evasione.

  3. Rilevanza delle plusvalenze – In caso di cessione d'azienda, la qualificazione del bene come strumentale incide direttamente sulla tassazione.

Considerazioni conclusive

Questa pronuncia rafforza il principio secondo cui l'Amministrazione finanziaria deve sostenere un onere probatorio rigoroso nelle contestazioni di simulazione contrattuale, evitando accertamenti fondati su mere supposizioni. Per imprese e professionisti, la sentenza rappresenta un monito a curare la sostanza economica delle operazioni, evitando strutture negoziali che possano essere interpretate come elusive.

Avv. Salvatore Ponzo

TARI e Stabilimenti Balneari: Le Eccezioni Ammesse dalla Giurisprudenza Tributaria di merito nel 2024

10 aprile 2025

Avvocato Salvatore Ponzo


Negli ultimi anni, numerosi stabilimenti balneari, campeggi, darsene e strutture turistiche stagionali sono stati oggetto di accertamenti TARI da parte dei Comuni. In particolare, sono emersi numerosi contenziosi relativi alla quantificazione della superficie tassabile, alla corretta individuazione del soggetto passivo, all'applicazione delle riduzioni per l'uso stagionale e alla legittimità delle fonti probatorie utilizzate per fondare l'accertamento.

Dall'analisi di recenti sentenze tributarie emesse nel 2024 emerge un orientamento giurisprudenziale consolidato, che conferisce maggiore tutela agli operatori economici, imponendo alle amministrazioni comunali oneri probatori rigorosi e il rispetto delle garanzie procedimentali. Di seguito si esaminano i principali principi di diritto e le eccezioni più frequentemente accolte.

1. Difetto di motivazione dell'avviso di accertamento

Secondo la giurisprudenza tributaria, l'avviso di accertamento deve contenere l'indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche poste a fondamento della pretesa tributaria (art. 7 L. n. 212/2000 e art. 1, comma 162 L. n. 296/2006). In particolare, non è sufficiente richiamare genericamente le "basi dati" dell'ente o l'esito di accertamenti non descritti nel dettaglio.

Riferimenti giurisprudenziali:

  • Corte di Giustizia Tributaria di secondo grado dell'Abruzzo, Sez. 1, Sent. n. 127/2024 del 20.02.2024

  • CGT Abruzzo, Sez. 1, Sent. n. 148/2024 del 26.02.2024

  • CGT Abruzzo, Sez. 1, Sent. n. 147/2024 del 26.02.2024

In queste sentenze, l'accertamento è stato ritenuto illegittimo per difetto assoluto di motivazione, in quanto fondato su rilievi satellitari non dettagliati e riferiti ad annualità diverse.

2. Inidoneità delle fotografie satellitari come prova della maggiore superficie

Le immagini tratte da piattaforme come Google Earth o simili non costituiscono prova sufficiente a fondare l'accertamento, salvo che siano dotate di datazione certa, riferita all'anno di imposta contestato, e accompagnate da criteri di misurazione attendibili.

Riferimenti:

  • CGT Abruzzo, Sez. 1, Sent. n. 127/2024

  • CGT Abruzzo, Sez. 1, Sent. n. 148/2024

  • CGT Abruzzo, Sez. 1, Sent. n. 147/2024

I giudici hanno affermato che l'utilizzo di immagini non validate, prive di scala di riferimento e riferibili ad annualità differenti da quelle oggetto dell'accertamento, non può integrare il presupposto probatorio richiesto dall'ordinamento.

3. Diritto alla riduzione per uso stagionale

Gli stabilimenti balneari, i campeggi e le attività stagionali hanno diritto alla riduzione della TARI per il periodo di effettiva apertura, in base a quanto previsto dalla normativa nazionale (art. 1, comma 656 L. n. 147/2013) e dai regolamenti comunali. Tale riduzione è dovuta anche in assenza di apposita istanza, laddove la stagionalità sia oggettivamente accertabile.

Riferimenti:

  • CGT Abruzzo, Sez. 1, Sent. n. 147/2024

  • CGT di primo grado di Sassari, Sez. 3, Sent. n. 807/2024 del 30.12.2024

  • CGT di secondo grado del Lazio, Sez. 18, Sent. n. 3977/2024 del 14.06.2024

In queste sentenze, i giudici hanno ribadito che l'attività stagionale, se dimostrata con elementi documentali (concessioni demaniali, calendari di apertura, autocertificazioni), legittima l'applicazione della riduzione su tutte le superfici utilizzate nei mesi estivi.

4. Esclusione delle superfici non produttive di rifiuti

Sono da escludere dalla base imponibile TARI le superfici che, per destinazione e utilizzo, non sono suscettibili di produrre rifiuti (es. aree verdi ornamentali, spazi di rispetto, aree pertinenziali non operative).

Riferimento:

  • CGT Sassari, Sez. 3, Sent. n. 807/2024

Il Collegio ha riconosciuto che i regolamenti comunali devono essere interpretati in conformità al principio della tassazione in funzione della concreta attitudine alla produzione di rifiuti.

5. Cessione del ramo d'azienda e legittimazione passiva

Nel caso in cui l'attività economica sia stata ceduta a terzi, mediante contratto di affitto o comodato d'uso, con voltura delle autorizzazioni amministrative, il soggetto cedente non è tenuto al pagamento della TARI.

Riferimento:

  • CGT di primo grado di Lecce, Sez. 5, Sent. n. 1920/2024 del 27.10.2024

La sentenza ha chiarito che il soggetto passivo del tributo è chi ha la detenzione dell'immobile e svolge l'attività economica, in base all'art. 63 del D.Lgs. n. 507/1993.

6. Violazione del giudicato e onere probatorio del Comune

In presenza di una precedente sentenza che ha accertato la superficie tassabile, l'ente impositore non può legittimamente emettere un nuovo accertamento per annualità successive senza fornire prova della variazione delle condizioni di fatto.

Riferimento:

  • CGT Sassari, Sez. 3, Sent. n. 807/2024

La Corte ha statuito che, se il Comune è a conoscenza di un precedente giudicato favorevole al contribuente, deve dimostrare concretamente l'intervenuta modifica dell'utilizzo delle aree.

7. Necessità del contraddittorio e dell'accertamento tecnico

Quando la pretesa tributaria si fonda su elementi tecnici o presuntivi (rilievi fotografici, mappe, stime), è necessario garantire al contribuente un contraddittorio preventivo o disporre un sopralluogo per accertare lo stato dei luoghi.

Riferimento:

  • CGT Abruzzo, Sez. 1, Sent. n. 127/2024

La Corte ha osservato che, in assenza di contraddittorio o accertamenti tecnici, l'accertamento risulta carente di attendibilità probatoria e lesivo del diritto di difesa.

Conclusioni

Le sentenze esaminate dimostrano che gli avvisi TARI emessi nei confronti di operatori turistici stagionali posso essere talvolta viziati da carenze istruttorie e violazioni procedimentali. Gli stabilimenti balneari e le attività similari possono legittimamente far valere, previa attenta analisi dell'accertamento ricevuto:

  • la mancanza di motivazione o di prova concreta;

  • la stagionalità dell'attività con diritto alla riduzione;

  • l'inidoneità alla produzione di rifiuti di certe superfici;

  • l'intervenuta cessione dell'attività;

  • la presenza di giudicati pregressi;

  • l'omessa attivazione del contraddittorio.

Si tratta di strumenti difensivi ormai consolidati nella prassi giurisprudenziale, che devono essere attivati con tempestività e precisione nella fase contenziosa. Per garantire una tutela effettiva, è essenziale affidarsi a una difesa tecnica altamente qualificata, affidata a professionisti esperti in diritto tributario e in particolare nella materia della fiscalità locale. Solo una strategia processuale costruita con rigore, supportata da perizie tecniche puntuali, documentazione aggiornata e una costante attenzione all'evoluzione giurisprudenziale consente di contrastare efficacemente le pretese illegittime dell'amministrazione e difendere con successo i diritti e gli interessi degli operatori del settore.


Notifica a Società irreperibile: quando la Cartella Esattoriale è nulla. La Cassazione fa chiarezza (Ord. 22709/2025)

La Cassazione, con l'ordinanza 22709/2025, depositata il 6 agosto 2025, stabilisce che la notifica di una cartella esattoriale a una società irreperibile è nulla se non si tenta prima la notifica al legale rappresentante. 

 Introduzione: Un principio a tutela del Contribuente

La notifica di una cartella esattoriale a una società è un atto che deve seguire regole procedurali precise. Ma cosa succede se la società è irreperibile o addirittura cancellata dal registro delle imprese? Si può notificare l'atto in modo impersonale presso la sede legale ormai vuota? Con la fondamentale ordinanza n. 22709 del 6 agosto 2025, la Corte di Cassazione mette un punto fermo sulla questione, chiarendo l'uso corretto degli artt. 140 e 143 c.p.c. e rafforzando le garanzie per il contribuente. La sentenza stabilisce un principio inderogabile: prima di dichiarare una società "irreperibile" e ricorrere a riti speciali, è obbligatorio tentare la notifica direttamente al suo legale rappresentante.

Il caso concreto: Notifica errata e cartella cnnullata

La vicenda analizzata dalla Suprema Corte riguardava una cartella di pagamento IVA notificata a una società che era stata cancellata dal registro delle imprese. L'Agenzia delle Entrate-Riscossione, non trovando nessuno presso la sede legale, aveva applicato il rito previsto per gli irreperibili assoluti (art. 143 c.p.c.), indirizzando l'atto impersonalmente "alla società". Gli ex soci hanno impugnato l'atto, sostenendo la nullità della notifica per vizi procedurali. La Cassazione ha dato loro ragione, ribaltando la decisione della Commissione Tributaria Regionale e delineando quattro principi guida.

I 4 Principi stabiliti dalla Cassazione sulla notifica alle Società

L'ordinanza fissa paletti invalicabili per l'Agente della Riscossione, la cui violazione determina la nullità dell'atto.

 1. Priorità assoluta alla notifica al legale rappresentante (art. 145 c.p.c.) 

La notifica degli atti impositivi a una società deve essere sempre tentata, in via prioritaria, presso la sede legale o, in alternativa, direttamente alla persona fisica del legale rappresentante, come previsto dall'art. 145 c.p.c. Questa non è una facoltà, ma un obbligo procedurale. 

2. Limiti all'Uso degli Artt. 140 e 143 c.p.c.: No a Notifiche Impersonali
Il ricorso alle procedure speciali per soggetti temporaneamente (art. 140 c.p.c.) o assolutamente (art. 143 c.p.c.) irreperibili è una soluzione estrema e subordinata. Non è legittimo attivare questi riti notificando l'atto in modo generico "alla società" presso la sede legale, se prima non si è provato a raggiungere il legale rappresentante al suo domicilio personale. 

3. Domicilio Fiscale vs. Residenza del Legale Rappresentante: Cosa Prevale? 

Anche se l'art. 60 del DPR 600/1973 prevede la notifica presso il domicilio fiscale della società, questo non esonera l'ente impositore dal suo dovere di ricerca. Se la sede legale (domicilio fiscale) risulta chiusa o inattiva, l'Agente della Riscossione deve dimostrare di aver effettuato ricerche e tentato la notifica presso la residenza anagrafica del legale rappresentante. 

4. Un Vizio di notifica non si sana: la nullità dell'atto presupposto


La Corte ribadisce un concetto cruciale: il vizio di notifica della cartella esattoriale non può essere sanato dalla successiva impugnazione di un atto consequenziale (es. un'intimazione di pagamento). La cartella è un atto autonomo che deve essere validamente portato a conoscenza del contribuente. Una notifica nulla rende la cartella inefficace e, di conseguenza, illegittimi tutti gli atti successivi che su di essa si fondano.

Perché questa sentenza è una svolta per imprese e professionisti

Questa pronuncia non è un mero cavillo legale, ma una pietra miliare per la tutela dei diritti del contribuente. Essa impedisce all'Amministrazione Finanziaria di adottare "scorciatoie" procedurali che potrebbero pregiudicare il diritto di difesa. Per le imprese, i loro amministratori e i consulenti tributari, il messaggio è forte e chiaro:

    • Verificare sempre la procedura di notifica: Di fronte a una cartella esattoriale, il primo controllo da fare è come è stata notificata.
    • La ricerca del legale rappresentante è un obbligo: L'Agente della Riscossione ha l'onere di provare di aver fatto tutto il possibile per notificare l'atto alla persona fisica che rappresenta la società.
    • Una notifica irregolare è un'arma di difesa: Un vizio nella procedura di notifica è un motivo valido e solido per chiedere e ottenere l'annullamento della cartella esattoriale.

In conclusione, grazie a questo orientamento della Suprema Corte, la difesa contro notifiche improprie e cartelle di pagamento nulle si fa più efficace, offrendo uno strumento concreto per contrastare le pretese illegittime del Fisco. 

In estrema sintesi:

La Cassazione, ribaltando la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, ha stabilito principi fondamentali validi per contribuenti e professionisti del diritto tributario:

  • Priorità di notifica al legale rappresentante (art. 145 c.p.c.): gli atti impositivi come la cartella esattoriale devono essere notificati prioritariamente presso la sede legale o direttamente al legale rappresentante della società;

  • Uso limitato e condizionato degli artt. 140 e 143 c.p.c.: le notifiche tramite rito speciale agli irreperibili non possono essere indirizzate "alla società" in modo impersonale senza aver prima tentato di notificare il legale rappresentante;

  • Domicilio fiscale e domicilio del legale rappresentante (art. 60 DPR 600/1973): la notifica al domicilio fiscale è ammessa, ma in caso di irreperibilità della sede legale si deve sempre provare la notifica presso la residenza del legale rappresentante;

  • Vizi di notifica e conseguenze sulle cartelle esattoriali: l'irregolarità della notifica della cartella non si può sanare automaticamente con il ricorso contro l'intimazione di pagamento, poiché la cartella è un atto autonomo e il vizio nella notifica dell'atto presupposto ne determina l'invalidità.


Avv. Salvatore Ponzo


Omessa notifica della cartella di pagamento: la Cassazione (ordinanza n. 22132/2025 del 31 luglio 2025) riconosce che la contestazione in primo grado copre tutti i vizi notificatori

La Corte di Cassazione, Sezione V Civile, con l'ordinanza n. 22132 del 31 luglio 2025, ha affermato un principio di grande rilievo nel contenzioso tributario: la deduzione in primo grado dell'omessa notifica della cartella di pagamento comporta la contestazione dell'intero procedimento di notifica, inclusi tutti i possibili vizi sulle modalità di esecuzione. Pertanto, la specificazione successiva in appello di particolari vizi notificatori non costituisce una nuova domanda né richiede la proposizione di motivi aggiunti ex art. 24 D.Lgs. 546/1992.

Il caso concreto

La controversia trae origine dall'impugnazione di un preavviso di iscrizione ipotecaria, adottato a seguito di una cartella di pagamento risalente al 1997. Il contribuente aveva già contestato in primo grado l'omessa notifica della cartella presupposta. Successivamente, in appello, la difesa ha specificato che la notifica era stata effettuata tramite operatore postale privato, modalità non inquadrata dalla normativa vigente all'epoca, contestando dunque le modalità esecutive.

La Commissione Tributaria Regionale dell'Umbria aveva accolto la tesi del contribuente annullando l'atto impugnato. Tuttavia, l'Agenzia delle Entrate, ricorrendo in Cassazione, sosteneva che la specificazione di nuovi vizi in appello dovesse essere considerata come una domanda nuova, pertanto soggetta all'onere di presentare motivi aggiunti.

La decisione della Cassazione

La Corte ha respinto la tesi dell'Agenzia, ribadendo chiaramente che:

  • La contestazione in primo grado dell'omessa notifica copre per principio tutti i profili relativi al procedimento notificatorio, compresi i dettagli sulle modalità di esecuzione;

  • Il giudice deve verificare la regolarità dell'intera procedura di notificazione anche se i vizi specifici emergono solo in sede di appello;

  • L'indicazione di un vizio specifico in appello è una mera puntualizzazione di una contestazione già presente in primo grado, non ampliamento dell'oggetto del giudizio né nuova domanda;

  • Non è pertanto necessaria la proposizione di motivi aggiunti per la specificazione di vizi inerenti alla contestazione primaria dell'omessa notifica.

Perché questa pronuncia è importante

Questa sentenza rappresenta una tutela sostanziale per il diritto di difesa del contribuente, evitando che formalismi eccessivi ostacolino la possibilità di far valere vizi di notifica emersi in corso di causa. Per i professionisti del diritto tributario, costituisce un precedente strategico per sostenere efficacemente le difese in giudizi relativi a cartelle esattoriali, soprattutto quando la documentazione completa sulla notifica si acquisisce solo progressivamente nel processo.

In estrema sintesi: la deduzione in primo grado dell'omessa notifica di una cartella di pagamento implica la contestazione dell'intero procedimento notificatorio, comprensiva di eventuali vizi sulle modalità di esecuzione. La specificazione in appello di tali vizi non integra domanda nuova e non richiede motivi aggiunti.

Avv. Salvatore Ponzo

Accertamento fiscale e annullamento: il ruolo decisivo del termine di 60 giorni. La Cassazione annulla l'accertamento del fisco

Nota a Cass. civ., Sez. V, ord. n. 21610 del 28 luglio 2025, a cura dell'avvocato Salvatore Ponzo

1. Sintesi della decisione

Il tema dell'accertamento fiscale e del suo annullamento torna al centro dell'attenzione con l'ordinanza n. 21610/2025 della Corte di Cassazione, Sezione V civile.

La Corte ha annullato un avviso di accertamento perché emesso prima del decorso del termine di 60 giorni previsto dall'art. 12, comma 7, dello Statuto del Contribuente (L. 212/2000), senza la presenza di motivazioni di urgenza concrete.

Il contribuente aveva ricevuto il processo verbale di constatazione (PVC) a fine ottobre e l'Ufficio, ritenendo di non avere tempo sufficiente per notificare l'atto prima della decadenza, aveva emesso l'avviso in anticipo. La Suprema Corte ha però evidenziato che giorni utili per il rispetto del termine dilatorio erano comunque disponibili e che il contraddittorio non poteva essere sacrificato per ragioni organizzative.

2. Note a sentenza

2.1. Accertamento fiscale e termine di 60 giorni

Il termine dilatorio di sessanta giorni tra il PVC e l'emissione dell'avviso di accertamento è una garanzia essenziale per il contribuente.

Questo periodo consente di:

  • presentare memorie difensive;

  • integrare documentazione utile;

  • favorire un contraddittorio pieno con l'Amministrazione prima della cristallizzazione della pretesa tributaria.

Nel caso esaminato, l'Ufficio aveva sostenuto che l'urgenza derivasse dalla scadenza del termine di decadenza. Tuttavia, la Corte ha precisato che tale giustificazione non è sufficiente: la gestione interna dell'attività di accertamento non può comprimere un diritto riconosciuto dalla legge.

2.2. Motivazione della Corte

La Cassazione ha sottolineato che il rispetto del termine dei 60 giorni è imprescindibile e la sua inosservanza comporta l'illegittimità dell'accertamento fiscale, salvo che sussistano specifiche e concrete ragioni di urgenza, adeguatamente motivate nell'atto.

Nel caso concreto, la mancanza di urgenza effettiva ha determinato l'annullamento dell'avviso di accertamento, senza necessità di ulteriori approfondimenti istruttori.

2.3. Decisione nel merito

La Corte ha accolto il ricorso, cassato la sentenza di secondo grado e deciso nel merito, dichiarando annullato l'avviso di accertamento fiscale.
Ha inoltre condannato l'Amministrazione al pagamento delle spese processuali, liquidate in € 7.600 oltre accessori di legge.

3. Conclusioni

Questa decisione ribadisce un principio chiave: quando si parla di accertamento fiscale e annullamento, il rispetto del termine di 60 giorni previsto dall'art. 12 dello Statuto del Contribuente non è una formalità, ma una garanzia sostanziale per il contribuente.

In altre parole, la pronuncia conferma la natura sostanziale del termine di sessanta giorni previsto dall'art. 12, comma 7, L. 212/2000: non una mera formalità, ma una garanzia che condiziona la legittimità dell'atto impositivo. Il contraddittorio endoprocedimentale diventa così una fase necessaria del procedimento, permettendo al contribuente di incidere sull'esito dell'accertamento e di prevenire contenziosi.

L'ordinanza chiarisce due principi fondamentali:

  • Onere motivazionale rafforzato: la deroga è ammessa solo in presenza di ragioni di urgenza specifiche e concrete, estranee all'organizzazione dell'Ufficio; la sola imminenza della decadenza non basta.

  • Sindacato pieno del giudice: la verifica giudiziale deve accertare un nesso reale tra l'urgenza addotta e la necessità di anticipare l'atto; in assenza di tale prova, l'avviso è illegittimo.

Sul piano pratico, la decisione ribadisce che il termine dilatorio conforma il potere impositivo e che la sua violazione comporta l'annullamento dell'avviso, con effetti definitivi sul rapporto tributario e sulle spese. Per la difesa, ciò impone un controllo rigoroso sulla tempistica e sulle motivazioni dell'urgenza per eccepire tempestivamente la nullità dell'accertamento.

23 agosto 2025

Avv. Salvatore Ponzo


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